lunedì 30 gennaio 2012

àspros (bianco)

Non ti dimentico
piccola fragile anima
che ho voluto tranciare di netto.
Così mi riverberi
se incrocio i tuoi occhi 
di nuovo.

venerdì 27 gennaio 2012

Neve


Ieri ho iniziato a leggere questo libro di Mishima che mi è stato consigliato e proprio ieri ho ricevuto per posta il nuovo libro di Roberto Michilli.
so che due letture non vanno mischiate contemporaneamente ma la tentazione di iniziare anche quello di Michilli ieri sera è stata fortissima...
Dovrò decidermi a quale dare la priorità dal momento che altrimenti rischierei di confondere immagini e stile.


Allora, vediamo di fare il punto della situazione ...

Ho terminato di leggere il libro di Michilli ieri, e mi sembra giusto provare a mettere giù la mia sintesi al riguardo.
Viviana è la protagonista, una ragazza bella e di modesta istruzione, e tutta la storia ruota intorno alle sue relazioni con gli uomini, al rapporto (quasi inesistente) con le figlie, alla malattia (un male incurabile) che improvvisamente la colpisce, e agli esorcismi, che abbondano anche nei particolari.
Michilli osa con la magia, osa entrare nei dettagli e descrive con minuzia lo svolgimento di certe pratiche, e questo devo dire che da un lato mi turba e dall'altro mi incuriosisce.
Sono cose di cui si parla poco ed è interessante scoprire in realtà come possa, l'assuefazione al riguardo, somigliare a quella del gioco.
Viviana ha un carattere impulsivo, non accetta le sconfitte, e soprattutto in amore, ottiene sempre ciò che desidera. 
Il desiderio fa parte della scrittura di Michilli, viene sempre tenuto vivo ed è da esso che si dipanano le storie.
Il rapporto di Viviana con Guido è forse il più travagliato. La moglie di Guido, è una donna misteriosa che porta un foulard sul capo e si reca a messa tutte le mattine e che in paese ha la fama di essere senza cuore.
Mi fa pensare che:
ciò che ci spaventa non si può conoscere.
(Poi lui scompare così, nel nulla... )

Ho ammirato la determinazione di Viviana, in ogni senso
e quel suo desiderio di lasciare una traccia di sè prima di morire (la sua storia raccontata)
la poesia nel finale, di cui non so l'autore, ma che riporto quì sotto, con gioia e commozione.

Noi passeremo
per farci ricordo sbiadito
e svanire infine nel nulla.

Ma ci sarà ancora il vento
a muovere le foglie
di nuove primavere.

Altri cercheranno
il nome delle cose
tenendosi per mano.

* * *
Piccola postilla: l'inciso (copiato dal libro) che riporto quì sotto mi ha condotto, seguendo la scia delle associazioni mentali, a comporre la poesia *Essere e tempo* che riporta, naturalmente, a Martin Heidegger.

"Rinchiusa in questa specie di bozzolo che mi isola e mi protegge, m'è più facile accettare quello che sarà.
Mi ricordo che il professore di filosofia ci parlava di un tedesco secondo il quale noi siamo nati per la morte ed è proprio questa provisorietà a dare un senso alla nostra vita."

sabato 21 gennaio 2012

Molo






















Sul molo la schiuma impetuosa
osservo scagliarsi con foga,
biancheggia sferzata dal vento
quell'onda che al tempo s'arrende

- io sono nel pugno d'azzurro -

giovedì 19 gennaio 2012

Desideri

Dunque,  mi appresto a scrivere le mie prime impressioni su questo libro che non ho ancora terminato, perchè ogni volta che incontro un libro interessante mi succede questo fatto, mi rifiuto di finirlo presto.
Sono giunta a questo autore sconosciuto per me tramite la recensione di Fabio Brotto.
Mi ha subito interessata la copertina, così sfiziosa ed elegante, i sandali di Cristina (che poi nel libro non compare).
La trama è tutt'altro che sfiziosa, oserei dire: azzardata nel suo intento: debellare il desiderio.
Sono quattro racconti.
Quattro quartetti perchè *Michilli il maestro* intende dare una sequenza musicale ai capitoli, e lo fa con raffinatezza.
Costringe il lettore a ricordare e a costruire.
Sì, perchè Michilli è un architetto, oltre a trascinarti nel suo narrare così fluido ed avvincente (mi ha lasciato col fiato sospeso più di una volta) deve avere un'anima *architettonica* speciale per saper descrivere così bene certi ambienti, soprattutto nel capitolo di *Elio*.

 

Devo ammettere che da molto tempo non incontravo un libro degno di travolgermi nella lettura in così breve tempo, devo ammettere che Roberto Michilli possiede il dono del coinvolgimento!

Il suo adagio nel capitolo di Elio è il mio preferito, in assoluto, per le descrizioni, anche poetiche dei paesaggi e degli stati d’animo, tra i quali la paura è la vera protagonista, col suo sapore metallico e freddo.
Intrecci, con una trama precisa, con un finale a sorpresa. Tutto meticolosamente architettato.
Una mente geniale quella di Roberto…sotto diversi punti di vista.
Riesce a entrare nella psicologia femminile, riesce a creare situazioni tragiche ma al contempo
giocose, riesce a trasmettere il sentimento dell’odio e dell’amore con la stessa intensità.
Il capitolo di Deborah è quello forse più angoscioso, poichè rende la fuga l'unica possibilità di salvezza ma anche la consapevolezza che non esiste fuga dai propri desideri se questi non vengono prima realizzati.
A volte è una tortura, devo ammetterlo, aspettare di giungere al capitolo che più mi coinvolge.
Ogni capitolo potrebbe essere una storia a sé, inutile dirlo...
Ma il fascino del suo narrare è proprio in questo intreccio che alla fine si ricongiunge
a lasciare il suo marchio indelebile nell’animo rapito dell’ignaro lettore.

La cosa più bella per me, leggendo questo libro e in particolare il capitolo di Elio, è il potermi raffigurare immagini e affreschi della proprietà, delle cantine, dei boschi....insomma...la struttura portante è data dall' immagine che ne scaturisce, nitida e sovrana.

* * *


Elio

Era la casa dei suoi sogni, più bella, anzi, della casa che aveva sempre sognato. Con un lungo sguardo da innamorato, appena sceso dall'auto accarezzò la bella facciata bianca, le finestre con il davanzale in pietra serena e le persiane verdi, i vecchi coppi macchiati di muschio del tetto, i nidi delle rondini lungo le grondaie. Non solo c'era un piccolo loggiato in cima all'ampia scalinata esterna, ma su un lato la casa sfoggiava addirittura una bella altana ottagonale, sormontata da una banderuola segnavento a forma di gallo. 
-è bellissima!-, disse allargando le braccia. Era come se volesse abbracciare tutto quello che vedeva. Si voltò a guardare Zarbà. Sorridente, l'omino se ne stava con un piede appoggiato al parafango dell'auto e sembrava godersi il suo entusiasmo: - E non ha ancora visto niente - disse. -Venga a vedere il resto -.
Mentre il geometra armeggiava con la serratura del portone, Elio continuava a guardarsi intorno. Notò sulla chiave di volta dell'architrave uno stemma gentilizio con sotto incisa una data: 1608. Entrarono. C'era una bussola a vetri subito dopo il portone. La attraversarono e si ritrovarono in un lungo atrio sul quale si aprivano diverse porte. In fondo, sulla destra, saliva verso l'alto una scalinata in legno scuro.
- Cominciamo di quà - disse Zarbà aprendo l'unica porta sulla destra.
Entrarono in un'ampia cucina rustica dal pavimento in cotto. Man mano che la sua guida apriva le finestre  a Elio si  precisavano i dettagli dell'ambiente.

* * *
La cosa originale che ho notato nella struttura del libro è che si parte con una storia, poi ne subentra un'altra, poi ne subentra un'altra ancora, poi...
si torna alla prima, poi la seconda, poi la terza,
poi 
una quarta, ancora la quarta, 
prima, seconda, terza
prima seconda terza
quarta
quarrta
prima seconda terza
prima seconda terza
quarta
quarta!

un vero e proprio madrigale!

Deborah (4)



* * *

Come il giorno prima, lei era distesa nuda sul letto, nella penombra. Mi fermai per qualche istante a rimirarla, poi mi tolsi i pantaloncini e la camicia e mi distessi accanto a lei. Deborah aveva gli occhi chiusi. Se voleva continuare in quel gioco, a me andava benissimo. Quella sua passività consenziente mi eccitava da morire. Mi dava di spalle.L'accarezzai a lungo con la punta delle dita.
La sua pelle a tratti fremeva, ma lei continuava a starsene ferma e in silenzio. Tornai a toccarle lo scrigno dei tesori; cercai ancora l'ingresso alla grotta azzurra e lo valicai, non senza aver favorito l'attraversamento della soglia con succo di lingua spalmato con le dita.
Il mio coso, laggiù, s'ergeva e pulsava. Unsi anche lui con la mirra autoprodotta e accostandomi alla bella addormentata lo accompagnai con la mano sull'uscio. 
Dovetti aggiustare più volte il tiro e ci volle calma e volontà ferma e notevole forza d'animo per resistere alle tentazioni, ma alfine la punta estrema di me, solo la punta, purtroppo, fu dove sognava da anni.
Oh cielo! Ancora adesso non posso fare a meno di rabbrividire ripensandoci. La magia della prima volta! 
Il tempo dovrebbe fermarsi, dopo. Anzi, mentre.
La mia gioia di carne ebbe appena un leggero sussulto quando si sentì così congiunta a me, ma ritrovò subito la sua dolce passività.
Restai così per lunghi istanti, poi provai a spingermi oltre. Riuscii a percorrere solo pochi millimetri, però.
L'attrito l'ebbe vinta sulla mia volontà e l'irrorai della mia gioia, inarcandomi all'indietro, teso come corda di violino.

* * *
Molto interessante è anche il *rovescio della medaglia* però non vorrei dilungarmi troppo....
l'episodio della vecchia invece, che è quello che più mi ha scosso, evito di trascriverlo.
la sua lettura necessità di stomaco forte!

* * *

Elio (5)

Si svegliò di soprassalto. Sognava di cadere. Precipitava in un pozzo nero e senza fine, urlando dal terrore. Accese l'abat-jour, si mise seduto appoggiandosi alla spalliera del letto e guardò la sveglia posata sul comodino. Segnava le due e quaranta. Tossì. Aveva la gola secca. Scese dal letto, s'infilò la vestaglia e cominciò a scendere le scale. Era diretto in cucina., voleva attaccarsi alla bottiglia d'acqua minerale che aveva in frigo. Sentì il rumore quando ancora si trovava a metà della prima rampa. Un tonfo attutito. Sembrava provenire dal sottosuolo. Si fermò e restò in ascolto, ma il rumore non si ripetè. "Sarà caduto qualcosa dagli scaffali", pensò. "O forse è un topo", si disse poi. Gli venne in mente che non era ancora sceso nelle cantine.
C'era stato solo una volta con l'architetto, ma s'erano limitati a un'occhiata superficiale. Si ripromise di scenderci l'indomani, e magari di procurarsi qualche esca avvelenata per i topi. In cucina prese la Ferrarelle dal frigorifero e mettendo in atto il proposito di poco prima bevve una lunga sosrata a garganella. Portandosi dietro la bottiglia si lasaciò poi cadere su una sedia e ne bevve ancora. Sentì di nuovo il rumore mentre era con la bottiglia attaccata alle labbra. L'acqua gli andò di traverso e tossì, con violenza e a lungo. Stavolta il rumore era stato più forte ed ecco: si ripeteva ancora, i tonfi adesso si succedevano ed erano via via più violenti. Poi, di colpo, tornò il silenzio. Elio avvertì un brivido corrergli lungo la schiena. Il fucile era appeso a un piolo di legno, dietro la porta della cucina, insieme alla cartucciera. Lo prese, lo caricò e accendendo le luci man mano che entrava nelle stanze , si diresse verso il piccolo disimpegno dove si apriva la porta delle cantine.

lunedì 16 gennaio 2012

Rosso di marea

La grazia
conosce la trama del fiore
nel petalo rosa il mio rosa
nel rosso che goccia il mio sangue
la spina che spingi
e lo sai.
Vorrei esserti nel braccio
a sferzare nudi colpi sulla tela
incidendo la tua carne.
Benedetto
lo scoppio che dentro ti succede
quando in me zampilli piano.
Scompigliami le ossa di un
delirio
di bocca, di mani.
Nel petalo traviato del sentire
l’orecchio trema.
Spargo
le tracce, l'umidore
lingua arguta nell'ingoiare tace.
Tacimi la pelle le ginocchia
sedotte dal marmo.

domenica 15 gennaio 2012

Capacità di giudizio

Dire ciò che si pensa
(il più difficile compito)
ciò che non si vorrebbe sentire
- la voce della verità -

Chi lo fa va contro corrente
segue una corrente *speciale*
quella che salva l'individuo.



Il pensiero è verità quando esprime il suo punto di vista
(il bambino lo fa in modo naturale)
senza valutarne la convenienza;
quando è libero e indipendente da qualsiasi giudizio e pregiudizio.

Cosa rara in questo mondo.

domenica 8 gennaio 2012

sul significato di Bellezza

In generale, ciò che ha vita non possiede, come il Padiglione d'oro, una sola ed unica essenza.
Gli esseri umani ricevono dalla natura una parte delle sue diverse qualità, e non fanno che ampliarle e svilupparle con un efficace metodo di combinazione.


pag.239-240-241 - Il padiglione d'oro, Yukio Mishima

* * *
A mano a mano che il ricordo della bellezza si ravvivava in me, proprio l'oscurità diveniva lo sfondo su cui potevo sistemare a piacere la visione.

In quella forma tenebrosa e appiattita si celava tutto quanto avevo ritenuto bello. Grazie alla memoria, i vari dettagli estetici presero a luccicare uno ad uno uscendo dalla circostante oscurità; e poi quel luccicchio si ampliò, si estese, finchè l'intero padiglione emerse dinanzi a me illuminato come non mai da quella luce che non è nè giorno nè notte, e che è il tempo medesimo. Era come se mi fossi impadronito della visione di un cieco.

L'esterno s'era fuso con l'interno.

* * *
La bellezza sintetizzava quella lotta o contrasto tra le varie parti, e insieme ne rimaneva al disopra!
Il Padiglione era stato costruito con polvere d'oro in una prolungata notte senza lume, come un sutra miniato sulle pagine blu scure d'un testo liturgico. Tuttavia ignoravo se la bellezza fosse una cosa sola col Padiglione stesso , ovvero se fose d'una specie con la notte ed il nulla che lo circondavano. Probabilmente era tutto: le singole parti dell'edificio, il suo insieme, e la notte che lo racchiudeva.
A questo pensiero sentii che il mistero della bellezza del Padiglione , che tanto m'aveva tormentato, stava per svelarsi.

* * *
Se si esaminavano i singoli particolari - i pilastri, le balaustre, le imposte, le porte, le finestre ornamentali, i tetti spioventi, l'Hosui-in, il Choondo, il Kukyocho, il Sòsei, l'immagine riflessa nello stagno, l'isolotto, i pini e anche gli olmetti- si avvertiva che in nessuno di essi la bellezza era compiuta; giacchè in ciascun elemento vi era un accenno della bellezza degli altri.
La bellezza d'ogni singola parte era per se stessa carica d'inquietudine: vagheggiava la perfezione senza possederla, e inevitabilmente anelava a quella delle altre parti.
I vari accenni, così collegati tra loro e relativi ad una bellezza che non esisteva in nessuno di essi individualmente, costituivano la caratteristica essenziale del Padiglione d'oro.

Essi erano dunque segni del nulla; e il nulla era la vera essenza di quella bellezza.



Certi scritti fanno pensare ad una musica, e a tante piccole considerazioni, che trovo difficile esternare ora, ma ci voglio provare, perchè Mishima lo merita.
Il finale non mi ha deluso come pensavo, anzi, alimenta quella forza che sempre ritengo suprema, la vita.

*La bellezza*, non c'è scampo da essa, non c'è salvezza, e non è vero che il nulla le si avvicina.
Certo, nella bidimensionalità dello spazio è facile inciampare, distrarsi, vaneggiare...
Ma lei c'è, inesorabile in ogni espressione, nella selvaggia prova che la natura le porge.
Lei è la tentazione, la visione, la determinazione
e la caduta.
La scoperta di un limite, anche questo è bellezza, la rivelazione, che da ogni sfumatura si coglie,
la deformazione del piede, la balbuzie.
Dove c'è limite, esiste il desiderio di combatterlo, e questa è bellezza.
la lotta, l'intrepida idea.
Bisogna diffidare dell'architettura quando questa si mostra solo esternamente, la vera architettura deve partire dal centro, dall'interno, ed irradiarsi senza discriminazione su ogni cosa.
Ma se vuole solo apparire, allora il suo fine è già minato dalla mancanza di struttura.

sabato 7 gennaio 2012

Vento del nord

Provo una sorta di piacere

nel vedere cancellato un mio passaggio
cancellare significa assorbire
la presenza nell'inconscio

nel sentirmi pedinata
lungo i muri della notte
negli androni
s-governati dalla luce
che non puoi scardinare

nel profumo
che ti resta dell'assenza.

mercoledì 4 gennaio 2012

Sinestesie

Poggi il tuo profilo scuro sul buio
la pelle rosa disegna contorni
sapore di rosa posa la mano, piano
indugia la lingua lungo
il padiglione - d'oro - sinuoso
genziana l'amaro linguare, l'odore
di spezie nel buio.

*



Riempie la stanza
la magia di un
odore, la pelle
di buono
che sa
l'incantesimo
il suono
io
vorrei gridare
ma è lui
lo strumento perfetto
taglia l'aria, affila
nell'anima un nome.