mercoledì 26 febbraio 2014

Corpo della poesia




È difficile incanalare in un registro la parola poetica, essa tenderà sempre alla ricerca di una costruzione del Sé, verso un’architettura che però non sarà mai perfetta perché l’interiorità è ingovernabile per natura, a meno che non la si voglia "canonizzare", ossia rinchiudere in una forma che la comanda, ma allora nascerebbe una struttura dalla bellezza solo esteriore, tecnologizzata, senza l’autenticità che l’improvvisazione, la libertà di espressione, ancora hanno il potere di dettare.

Questo ammiro nella poesia:

il potere evocativo e la sana radice metafisica

l’origine della parola fatta carne, la bellezza ingovernabile.


domenica 23 febbraio 2014

pro tempore

Si deteriorano, le cose

senza riserva

restano vecchi interruttori anneriti

dal verdetto del tempo.



 * * *



sabato 22 febbraio 2014

haiku


Tra le argentee pieghe

Tra le argentee pieghe
Luna magica sosta
- i tuoi occhi dentro  -

Tremula foglia

Tremula foglia
sola nel crepuscolo;
resiste al gelo.


Remota scende

Remota scende
a ricoprir cangiante
ogni distanza.

Ali dispieghi

Ali dispieghi
creatura del cielo;
donami gli occhi.

Cani abbaiono

Cani abbaiono
nel buio del cortile -
Assaggio l’uva.


Sento il mio cuore

Sento il mio cuore
spalancato nel ventre;
L’iride è un tuffo



mercoledì 19 febbraio 2014

Corona di luce (Reiki)



Ondate di oleosa materia
percorrono la lunghezza del (mio) corpo
dalla radice dei capelli
fino all'estremità dei piedi.
Piccoli strappi, lungo le falangi delle dita
- incontro di polpastrelli -
I brividi percorrono il respiro
cristallizzano pensieri e percezioni
e il suono si fa strada lungo i chakra
che si aprono verso la luce.
La profondità si avvicina
come suono di balena che gioioso
smuove l’azzurro, Oceano
Madre avvolgente.



* * *

L'uomo è un sole, i suoi sensi
sono i suoi pianeti.

Novalis


venerdì 14 febbraio 2014

Tempo di non ritorno


Ha una sua soglia, il dolore
te ne accorgi quando il nervo si perfora
e l’infiammazione brucia
nella cavità dell’osso.

I pugni sono immobili
sotto lo sterno
e la lacrima sgorga copiosa.

È questo, il nostro destino
non poter trattenere l’attesa.




















(San Paolo di Jesi, mia foto)


Nodosità, sulle pareti di una pelle
troppo antica.
Caverne di Platone inesplorate
sul crinale del ricordo
le mani sono resina schiodata
da un’asse sensoriale, da un grido
di terra bruciata in-attesa.

*

Le immagini che scegli
mi coccolano gli occhi
quando una simbiosi si delinea
lungo il margine rubato

Allora gli occhi pieni
traboccano bellezza d’acqua dolce
e il sale si bilancia con il fuoco
di un’etica perduta
natura ed elementi
sublimano la mente di chi aspira
al bene sommo, al fine.






http://www.elioscarciglia.it/carla%20bariffi.htm

*


giovedì 13 febbraio 2014

Dicono di me, brevi impressioni sull'opera fotografica di Elio Scarciglia


Una foto di Elio Scarciglia: Ceglie Messapica

* * *

Mi sono trovata quasi per caso a visitare le immagini eloquenti dell’artista Elio Scarciglia, passavo per Via Lepsius, e ne sono rimasta affascinata, innanzitutto per i colori, poi per la messa a fuoco, infine per i soggetti scelti.
In natura tutto accade improvvisamente, con superbia e imprevedibilità, così l’artista,  istintivamente, coglie questa forma del tempo con grande precisione, sceglie gli oggetti, delineandone l’aspetto immediato e razionale, animato e inanimato, suscitando un confronto che va ad interporsi tra noi e l’immagine, creando un confine.
Ho scelto la terra d’ulivi per un richiamo mio personale verso una cultura che riguarda i paesi arabi, la Sicilia, la terra del sole. Sono alberi che nei loro nodi racchiudono la storia, l’esperienza di una geografia mitica e mistica, la leggenda – consacrata - dei nostri avi.
 Ma anche i frutti e gli insetti rappresentano la metamorfosi che va a crearsi tra Uomo e natura, una sorta di accorpamento di geni che rende l’immagine viva e piena, di grazia plena.



martedì 11 febbraio 2014

Ichnos - Impronta





Ta roda ta roda kai pali ta roda
Igro pathos sta magoula tou kosmou.
Espagna me ta heria sto skotadhi tan dhomatiou ghia na se vro …

* * *
Le rose le rose ancora le rose
Lussuria liquida sugli zigomi del mondo.
Tastavo con le mani nel buio della stanza per trovarti …





Ichnos
i glossa sou
to aperanto, to fos
stin sou anasa - ìremos -
pou mes ta matia
stamàta.


Impronta
il tuo linguaggio
l'immensità, la luce
del tuo respiro -calmo -
dentro i miei occhi
fermo.


*

To vradhi o uranos metakini
aorata empodhia
sigha sigha
ghinete galazia i skepsi mou
san to einai
tou asprou louloudiou pu sto nerò
afini tin anasa tou stin siopi


La sera il cielo smuove
invisibili barriere
piano piano
si fa azzurro il mio pensiero
come essenza
del bianco fiore che sull’acqua
esala il suo respiro nel silenzio.


*


Einai stin glossa sou
pou i glossa mou pernei
tin telia morfì tou ihou
pini i stagona
skammeni sto fos
to exomioni kai to anakalipti.

È nella tua lingua
che la mia lingua prende
la forma perfetta del suono.
Beve la goccia scavata
nel cono di luce;
lo assimila e lo scopre.


*


Anastenazontas
to dherma, to hili
sto hilo tou nero o afros
- i floga pou horevi -
Angliazi mou.

Ansimante
la pelle, le labbra
sul pelo dell'acqua la schiuma
- la fiamma che danza -
mi abbraccia.

*

Aploma aplose mou aplose
to idratoma
stivontas kalà to derma
malakomeine apo to
zestò atmò tou nerù.
Aplose mou kai tripse
ekì pou mporì
to roz derma na sklirini.

Spalmo spalmami spalma
l'emulsione
strizzandomi bene la pelle
resa morbida dal
caldo vapore dell'acqua.
Spalmami e friziona
dove può
la pelle rosa irrigidirsi.

  
*
  
Ta klistà viefara so una filò
ta hili so una plazo me elafrà aghigmata
to metopona sou aghizo me daktila
triantafilou ston kiklo tin akri
tou asprou tou aftioù sou.

Le palpebre schiuse baciarti
le labbra scolpirti con tocchi leggeri
la fronte sfiorare con dita di
rosa nel cerchio, nel lobo
del bianco tuo orecchio.


*


Dosmou tin maghia
piretòs ton nyhton mou
Psichì mou
namporusa na se diashiso
sigha sigha …
Ichos zestos kaievloghimenos
Dikia (mou) avisso.

Dammi la magia
febbre delle mie notti
Anima mia
poterti attraversare
piano piano …
Suono caldo e benedetto
Tua (mia) profondità.


*


Ieros
anasa – mazi –
kratai kàthe simata.

Sacro
il respiro – nostro –
racchiude ogni forma.


*


Glistrai i nihta sta dahtila
opos to prosopo sou
malakomena hili mes to roz
siopilì omorfià - skepsi mou -
to fos mes ta matia
pou san kopsi kouniete
se kokkalo vithizete.


Mi scivola la notte tra le dita
così come il tuo volto
le labbra ammorbidite dentro il rosa
bellezza silenziosa - mio pensiero
la luce dentro gli occhi
che come lama oscilla
in ossa affonda.


*


Spitha
sto hilo tou nerou o afros
ston iho tou Okeanou
na niothis vathià
- na se niotho -
stin makrià anatrihila
sto nerò pou kilai
kai aneveni
sto kima pou siga plakoni
katapinontas mou ta matia
- stin agnì siopì pou angaliazi -

Scintilla
sul pelo dell'acqua la schiuma
nel suono d'oceano
profondo sentire
- Sentirti -
nel brivido lungo
nell'acqua che scivola e
sale
nell'onda che piano sovrasta
inghiottendomi gli occhi
- nel puro silenzio che abbraccia -


*


Kai dhagoni to kutavi
afotu ruficse polì
ap'ta tendomena stithia
kai tentomeni einai i triha
gialisterò kai astrafterò contra ston ilio
sto kefali mou htipai, se stihous hinete.


Guaisce
e morde il cucciolo di cane
dopo aver succhiato molto
dalle mammelle tese
e teso è il pelo
lucido e brillante contro il sole
sulle mie tempie batte, in versi versa.

*

Aghrio spathi i glossa
pou honete stin malakì triha
- agapi pedioù -
mazevi kathe kalò san
stin grothià i ghy
ohi pià ameni.


Spada feroce la lingua
che affonda nel tenero pelo
- amore d'infante -
risucchia ogni bene come
nel pugno la terra
non più smarrita.


*


Mazevi kathe kalò
omorfià mias skepsis
pou mpeni sto louloudi.

Risucchia ogni bene
bellezza di un pensiero
che penetra il fiore.


*


Stin anasa pou tremi
- mazhèvo -
to derma tis ichos
kai traghùdhi to kalonì.


Nel respiro che trema
- raccolgo -
la pelle del suono
e canto la bellezza








venerdì 7 febbraio 2014

Tra luce e ombra



Solo la meraviglia ci potrà salvare
aprendo il varco
verso la sostanza.

David Maria Turoldo


* * *


I ricordi sono morse dentro specchi
affinano la loro estensione
in base agli odori.
Le percezioni ne sono la spinta
così il corpo langue – in solitudine
e la mente si dilata
acquisisce le sue immagini annegate
nell’abisso dell’inconscio
le disossa –

*

La stanza era bianca, luminosa la finestra
sul giardino accanto al lago
le fronde dell’abete
bianco il saluto
al mio letto febbrile.
La madre, la febbre, la cura –
le tre dimensioni del mio essere
in potenza.

*

Il danno più grave
sarebbe svelare la carne.
La verità
non è quello che trasmetti
ma ciò che ti vergogni di dare.

*

Tutti i più grandi stanno morendo
e con loro la storia.
È questa
la tragedia più grande.
L’attenzione si disperde sul canale
che non vede l’interiore.

*

La realtà è bidimensionale,
lo dimostrano i fatti quotidiani.
Il sogno resta l’unica salvezza
poiché permette all’anima l’oblio.

*

Mistura d’ebbrezza
la voce che senti nascosta.
La gnosi è la presa diretta
linguaggio tribale,  il parto
che non sai domare.



* * *



giovedì 6 febbraio 2014

Olea fragrans rubra, una lettura di Antonio Devicienti

Sinusoidi morbide (attraversando la RAPSODIA IN ROSSO di Carla Bariffi); con tre inediti

di Antonio Devicienti

Mi colpiscono sempre molto quei libri che vogliono andare sia oltre la scrittura in versi sia oltre l’idea comune e forse più diffusa che si ha della poesia. Pervicacemente resiste infatti il luogo comune del poeta “persona con la testa tra le nuvole” o “lontano dalla realtà e sognatore” e l’altro, secondo cui la poesia contemporanea sarebbe incomprensibile e quindi illeggibile (anche nel senso che non vale la pena leggerla data la sua astrusità). Rapsodia in rosso di Carla Bariffi (Edizioni CFR, Piateda, 2013) è un concreto tentativo di andare oltre e contro quei luoghi comuni ed essendo Carla poetessa di vastissime e profonde letture e persona che crede totalmente nella scrittura e che fa della ricerca della bellezza (dirò in seguito in che senso) un quotidiano modus vivendi, il suo più recente libro offre tutta la serietà, l’impegno, il fascino e le ragioni di una ricerca inesausta. Chi cerca l’abbandono lirico, l’effusione dei sentimenti (magari “al femminile” secondo quanto vuole un altro diffuso luogo comune), l’innocuo confezionare buoni versi non legga questo libro. Lo legga e lo mediti chi cerca una poesia che non consola e che non vuole neanche farlo, chi si aspetta una poesia che pone domande, che provoca, che costringe ad uscire fuori dalle (false) sicurezze, che segue sentieri impervi.
L’altrove è un luogo costruito
nella mente e nello spirito.
Penso questo mentre cerco
la mia penna preferita (pag. 9):
così si apre la Rapsodia, con questa quartina proemiale e programmatica; premetto: l’intero libro è un succedersi di strofe di varia ampiezza e che possono essere lette o in sequenza o isolatamente, secondo una struttura rapsodica, quindi, in un dispiegarsi del pensiero-canto che obbedisce alle ragioni della riflessione, della corporalità e dell’ambiente lacustre-montano che accoglie la mente ed il corpo. Forse si può riconoscere in una tale scelta stilistica la suggestione della frammentarietà con la quale ci è giunto il pensiero presocratico e dello stile aforistico delle opere di Wittgenstein, o la vibrante urgenza espressiva di opere come Impromptu di Amelia Rosselli e di certi testi di Alda Merini – e, come sempre, scorgo suggestioni da altri testi nei libri che di volta in volta attraverso non per stabilire genealogie, ma per riconoscere la ricchezza anche infratestuale, in questo caso, della Rapsodia e per sottolineare ancora una volta come non si tratti di un libro spontaneistico e confessionale, ma meditato, strutturato, complesso, consapevole.
Torno alla strofa iniziale: il libro sarà la ricerca di un luogo costruito dalla mente e tale ricerca s’invererà nella scrittura.
Trovo molto bella l’idea del cercare la propria penna preferita: ogni poeta che ancora non si è del tutto arreso all’imperio del computer sa che la buona riuscita di un testo dipende anche dalla penna e dalla carta, dal quaderno che si usa, perché anche il corpo che compie l’atto dello scrivere ha bisogno di trovare quell’accordo giusto con la mente, quell’armonia di materia, gesto e pensiero che sono imprescindibili dall’atto di scrivere.
Mi porterai un moleskine
con penna stilografica.
Accendi l’entusiasmo nei miei occhi
perché conosci ciò che non controllo
lo scritto improvviso nel tragitto
del tempo che mi coglie in emozione (pag. 24).
P1020605
In omaggio a Carla, quest’assolata foto dalla Plaka di Atene (luglio 2012).
Mi colpisce nel corso dell’intero libro, quasi fosse un Leitmotiv, il tornare dell’immagine della pelle e del dherma, momenti fondamentali del discorso del corpo e sul corpo che, a sua volta, s’intreccia a quello sulla ragione e sul vedere, ché nella complessità della Rapsodia, esattamente come nella sinfonia classica, vengono avviati i vari motivi e poi sviluppati, variati, ripresi, mescolati tra di loro.
La pelle esige una cura
lo sguardo dell’altro.
È come un androne
antico e profondo.
Percorrerlo è il respiro dell’atleta (pag. 10).
Provo un piacere sfrenato
quando lascio macerare l’intuizione,
quando sento l’erotismo risalire
lungo un mio tratto di pelle
- mentre sento l’intenzione
farsi carne tra i miei sen(s)i (pag. 20).
Basterà il pensiero
a far sboccare
in pura magia
l’universo della pelle (pag. 31).
Distillato,
purissimo di Dherma.
Sana appropriazione della lingua
attingendo alla radice
ricavandone: succo (pag. 37).
Punto di flesso
l’incisione sul derma
al tatto si dilata in arabeschi
- percorrerli è la forza -
Nel respiro che trema
- raccolgo -
la pelle del cosmo
e immortalo la bellezza (quest’ultime due strofe, a pag. 46, chiudono l’intero libro).
Affine al ruolo e al significato della pelle mi sembra quello del perigonio e dell’epididimo, parti che appartengono l’una agli organi sessuali del fiore, l’altra a quelli maschili, alludendo così alla generazione, non disgiunta di certo dal rapporto sessuale: Lungo l’epididimo / attraverso l’erogena zona / che divide il cratere dal vulcano. / Nel Perinèo, / abbandono il disegno delle labbra (pag. 23) e, immediatamente dopo: Perigonio, all’apice del fiore / il tepalo trasmesso per scissione / lo scarto – epidurale – del pistillo / che genera con-tatto (pag. 24) e del perigonio si torna a parlare a pag. 31, rinnovando il concetto della separazione che, necessaria, genera vita, in una sorta di duplicità e di coincidentia oppositorum: si esperisce la divisione e la separazione mentre si aspira all’unità (l’Uno platonico-plotiniano è altro tema del libro). L’atto del toccare (e si tocca con le dita, ma anche con gli occhi e con la lingua – Leccare / la superficie ghiacciata del lago, ad esempio, a pag. 38 – o con la mente e si viene a propria volta toccati dalle cose, come insegnano Lucrezio e gli Epicurei, se è vero che dagli oggetti si distaccano i materialissimi simulacra) mi sembra essenziale nel libro di Carla Bariffi, atto inteso anche come carezza d’amore ricevuta o data, per cui logico ed inevitabile appare il rapporto erotico con l’altro e con il mondo, questaRapsodia dice in più luoghi, e sempre elegantemente, senza reticenze moralistiche, ma con finissimo stile, l’amore fisico, epicureo nel senso più alto e vero, deprivato dalle banalizzazioni vulgate, fondando quello che mi sembra il senso più profondo e nascosto del libro: è come se l’io lirico cercasse, contemporaneamente, di percepire coi sensi, comprendere con l’intelletto, avviluppare col proprio slancio erotico e sessuale, dire nella scrittura la realtà, cosa che procura contemporaneamente piacere e struggimento, slancio e consapevolezza di possibili fallimenti. Il piacere catastematico, cioè non superficiale né momentaneo, ha a che fare con l’arduo raggiungimento della saggezza, con la pienezza che, corpo e mente insieme, esperiscono nel loro essere vivi. Si tratta di uno sforzo titanico che, inevitabilmente, è costretto ad esprimersi in questa catena di momenti rapsodici, a porre sulla linea cronologica del testo i successi, le cadute, gli spasmodici slanci, le pause di riflessione che ne derivano. Idealmente, però, è come se il libro avesse bisogno di essere letto tutto in un unico istante, interessante sforzo immaginativo che, ancora una volta, ci riconduce all’idea presocratica e del Platone esoterico della sapienzialità non irrazionale né tanto meno arazionale, ma precedente la tecnicizzazione e la parcellizzazione del sapere; e c’è anche l’amato Wittgenstein, il filosofo consapevole del fatto che il linguaggio non sia in grado di esaurire il reale, ci sono Pascal e Cioran (citati tutti e tre in una splendida, geniale quartina a pagina 26:Pascal, Cioran, Wittgenstein / si accovacciano con me sul balcone / – hanno questo privilegio – / rivivere in un’età che è d’argento). Si tratta dei filosofi che mettono in discussione le idées reçues, ma anche di filosofi-poeti per atteggiamento mentale e per stile di scrittura, di outsiders del pensiero occidentale, di pensatori che non separano l’atto intellettuale da quello intuitivo, né la mente dal corpo senziente (si pensi a Cioran e al tema del dolore e della “caduta nel mondo”). A tal proposito riporto una strofa che mi ha fortemente impressionato per originalità e forza espressiva, per naturalezza del dettato e densità concettuale:
Si cerca una parola,
poi segue la premonizione.
Un fiore di zucca impregnato di pastella
sfrigola nell’olio, s’indora.
Lo assesto bene con le dita
(deve aderire al calore).
Ogni cosa buona è imbevuta di prana (pag. 16).
P1020711
Nella cittadella di Micene ho fotografato l’ostinazione di questa pianta, rigogliosa sulla roccia infuocata della fine di luglio del 2012.
Ammiro la capacità dei veri poeti di servirsi di oggetti e situazioni assolutamente quotidiani per dire, con apparente semplicità e naturalezza, ma in modo alto e pregnante, quello che altri scriverebbero in molte (troppe) pagine. Nella Rapsodia in rosso accade allora che un fiore di zucca sappia far sentire il suo profumo e il suo sfrigolio nell’olio bollente, così come la parola poetica giusta e necessaria dovrebbe saper fare e che, soprattutto, il calore vitale impronti di sé l’esperienza ed il dire. È la bellezza, o meglio, la Καλοκαγαθία (e spiega Carla che Kalokagathia èquello che la grecità comprende / primato spirituale / di bellezza e poesia, pag. 12) l’astro solare verso cui tende tutta la Rapsodia, per cui questo poema e filosofico ed amoroso contiene in sé il rosso del sangue, quello della passione erotica, quello di cui si tinge il lago in certe ore del giorno e, a riprova dell’esigente lavoro sulla parola e sui concetti (ha ragione Ivan Fedeli che nell’introduzione sottolinea il valore “progettuale” del libro), a riprova di questo, dicevo, esiste tutta una serie di rimandi all’operazione del “de-strutturare” e “ri-costituire” il verso, l’immagine, il concetto, la percezione, assieme agli accenni alla geometria frattale che, mi accorgo, comincia a suggestionare più di un poeta; nel caso di Carla Bariffi il frattale è coerente con l’indagine che la poetessa di Bellano compie sulla bellezza, dal momento che, sostengono le neuroscienze, la mente riconosce già in se stessa la presenza e, appunto, la bellezza delle medesime forme frattali che si ripetono dal microscopico al macroscopico. Lo ammetto: sarà che conosco la passione totalizzante di Carla per la Grecità e per la filosofia, ma non so non pensare ancora una volta al Platone che teorizza la realtà come specchio o ombra del mondo delle Idee, né ai grandi poeti-filosofi e viceversa, filosofi-poeti, come Parmenide ed Empedocle, capaci di comporre poemi sapienziali e scientifici in esametri d’incomparabile bellezza, senza dimenticare che i nomi di Plotino, di Anassagora, di Platone stesso compaiono già, ben esplicitati, nella Rapsodia:
Sinusoidi morbide
i tracciati creativi dell’Arte
che puoi controllare.
Appaiono più dimensioni
aperte ad ogni congettura (pag. 23).
Abbiamo bisogno di spazi
da sincronizzare alla luce di un dire
dettato da ciò che ci accade (pag. 31).
L’isolamento
è condizione preliminare
per ascoltare ogni vibrazione.
La legge del cosmo è rigore
- infilato in minuscole crune -.
Dal gene incapsulato nella sabbia
la mia particella di Dharma compone
le rocce di Petra (pag. 42).
Ecco spiegate, a fine lettura, le due pagine (la 14 e la 15) dedicate alla sinfonia di Dvorak Dal nuovo Mondo, luminosa suggestione e metafora del mondo nuovo cui la poesia e l’indagine filosofica cercano di approdare, fedeli entrambe a quell’olos(il tutto nella sua completezza) che pone se stesso come promessa e miraggio, conquista e struggente, continuo sottrarsi.
olea fragrans rubra
Olea fragrans rubra, che è anche il titolo originario del libro, poi cambiato in fase di stampa: si tratta di una pianta profumatissima diffusa nei giardini lungo i Laghi lombardi (Sereni la cita in una sua lirica intitolata Settembre).
Tre inediti
L’altro da me, l’altro da te
strutturano un se che comprende
l’invisibile legame tra gli opposti.
è lo scettro che l’uomo vorrebbe
elevare ad immagine del mondo.

* * *

La Madre nutre il figlio
nella notte
provando un piacere assoluto
(che potrebbe apparire egoista)
poichè va a collocarsi nell’intimo
Essere parte dell’Essere.

* * *

Si mantiene intatto, il cuore
se vuoi preservare la casa.
La cicatrice è una piccola ruga,
ramifica nell’organo di fuoco.