venerdì 29 aprile 2016

Dinamica del pensiero poetico





La costruzione

avviene per esclusione

di materiale superfluo.

 

*

 

Il quaderno è immenso.

Ammiro la pagina bianca.

 

*

 

Un margine di senso

in cui sentire

l’inconciliabile.

Questo è lo scopo.

 

*


Come avviene il miracolo della scrittura?

Con la metamorfosi.

 





martedì 26 aprile 2016

Bodhisattva





Ho il cuore colmo
di sofferenza
mi ha detto;
mi ha letto dentro.
E poi l’abbraccio
(estraneo nel bianco)
lo sbocco lacrimale che si svuota.
Pregherò per te
mi hai detto
e già mi sento
di nuovo colmo il cuore
di amore e morte.

lunedì 25 aprile 2016

Geografia dell'altrove, Terra d’Ulivi 2016. Nota di lettura di Sebastiano Aglieco




Il lago visto dall’alto, gli animali, il trascorrere del tempo, la casa, il giardino, i pensieri in sintonia e distonia … questi i temi del nuovo libro di Carla Bariffi.

I testi si presentano in successione, due per pagina, senza alcuna divisione interna, non sembrano essere interessati a mostrarci una struttura, i capitoli di un romanzo. Sono, piuttosto, dislocati lungo il percorso di un binario circolare – quello del lago e delle sue stagioni – e così procedono per improvvise ed occasionali illuminazioni, sempre scaturite dalla vibrazione emotiva e sensoriale.

Elettricità, nell’aria

sui corpi cristallizza in respiro

– esplode il temporale –

Ti tengo nella mano

mia grandine improvvisa.

p. 46

Direzioni diverse

tagliano il cielo.

L’orizzonte rimane lo stesso.

– Il lago è incendiato di blu,

accoglie i nostri corpi come un’ostia –

p.14

Sono, dunque, testi “veri”, nel senso di corrispondenti a un progetto interiore, di conoscenza di se stessi attraverso l’immersione nel panico naturale, nel grembo, nella promessa di un Nulla per niente interessato all’umano, alla pietas. Piuttosto è la parola che si fa portatrice di pietas, parola rivolta verso noi stessi, per guarire la nostra incapacità di sentirci in sintonia con le voci, col respiro, con l’appartenenza.

Spesso leggiamo di lacrime scaturite proprio nel momento in cui la consapevolezza del perduto, di un pensiero ancestrale che ci rac/coglie solo a tratti, improvvisamente abbassa le difese dell’io mostrandoci il nostro abbandono, la resa.

Così largo il pianto

e lento di noi il sapere dove

fermare l’ansito

potere scioglierci.

p. 13

Carla Bariffi, a un certo punto di questo diario di segni naturali, di geroglifici, cita “Memoria” di Rimbaud: “La corrente d’oro in movimento, / muove le sue braccia nere e pesanti…”; chiosando successivamente: “Penso all’acqua chiara / di una memoria nuova”, p. 16.

Quest’acqua, che per Rimbaud è il laghetto fangoso di un parco cittadino, qui è proprio il Lario coi suoi anfratti scurissimi, le sue imprevedibili bufere, le brume, il quietarsi nei riflessi del sole in controluce.

È il luogo, dunque, lo scenario partecipe delle ferite del pellegrino che sale il monte per raggiungere la casa, tutti i fine settimana. La casa è desco e santuario nello stesso tempo, finestra spalancata verso l’esterno, luogo chiuso di meditazione frammentata e improvvisa.

Esiste una luce diversa

quando il crepuscolo scivola ed entra

dalla finestra socchiusa

– accarezza gli oggetti in silenzio –

li inebria di un corpo che pulsa.

È la luce degli avi.

p. 33

Radunare

le briciole del giorno

quando calma si fa sera

e la casa resta l’argine lontano

condiviso nel silenzio.

p. 19

La penna a sfera

giace sulla credenza

accanto al suo inchiostro notturno.

Preferisco la matita.

p. 15

È così grande la casa

quando soli

la viviamo.

Il suono propaga orizzonti

sul lago di fronte

Lo spazio – dal tonfo di neve

delle mie stanze.

p. 25

In questo discorrere nella mente del tempo delle stagioni, gli avvenimenti si dispongono come i tasselli di un puzzle, suggerendoci l’immagine di una presenza che si cela dentro gli occhi di un animale, in una pianta, nel volo di un uccello, nelle intuizioni di una riflessione improvvisa:

Così a volte vediamo un essere ferino che ha gli occhi infuocati del sangue e della vita:

Fissa gli altri gatti col suo sguardo malato

di fronte al banchetto

– il sangue è un grumo al muso –

Le mosche lo circondano, ostinate

ma più ostinato è il rosso del suo pelo,

l’illusione del suo desiderio.

p. 17

Improvviso, lo colsi

afferrare il pane secco

nel buio intermittente della notte

sagoma bianca striata sul muso

lungo come il viottolo deserto.

È bastato un fruscio sotterraneo

a dileguare la sua occulta presenza.

Il gatto lo osserva con me

senza muovere un pelo.

p. 57

Uccelli come presenze dell’anima, come i primi pensieri del mondo:

Cerchi ampi

circoscrive la poiana

poi di colpo cambia rotta

esorta la mente a deviare.

La traiettoria dell’occhio la segue,

scompare.

p. 36

Il lento pensiero delle essenze vegetali; e la presenza che le abita:

Il noce si è intrecciato col limone

– l’aria è pregna del giallo dei cedri –

In questo giardino di ulivi

i pini sono quieti

e un canto di civetta

scandisce ogni mezz’ora.

Son qui, ad alleggerire ogni pensiero,

affondando nell’azzurro ogni mia fibra.

[il San Martino

accanto].

p. 45

Sei nel fiore del sambuco

e nel prugno che lento matura

nel grano che sale, nel ciclo lunare

che piano riverbera dentro.

p. 55

Le intuizioni monacali:

La memoria lascia buchi dolorosi

dentro la membrana

il lago distende il pensiero

la ruga profonda tra gli occhi.

È l’altezza

la cura del male.

p. 9

Testo, dunque, che si alimenta delle sporgenze e delle rientranze del magma, senza un centro, ascrivibile a un poeta del pianeta Nettuno dove, si dice, tutto sia acqua e forse sogno di una vita diversa, di una cosa chiamata terra.


Sebastiano Aglieco



da quì:

https://miolive.wordpress.com/2016/04/23/carla-bariffi-e-laltezza-la-cura-del-male/

venerdì 22 aprile 2016

Teatro delle conversazioni. Gianmarco Pinciroli






…il lento, impercepito dipanarsi

dal filo dell’alba al tessuto

che ti cresce tra le mani verso sera

e non ti copre più che tanto il volto…






1.





… in queste rose di nebbia, oggi, febbraio


ci sono e non ci sono segni, fruscii


di una qualche umanità corrosa


dall’abitudine ad essere volatile…





… nessun esperimento, solo sintassi


a collegare le più semplici parole


ne viene un po’ di senso, forse troppo


per chi ama i fili sospesi sull’abisso…





… fuggirsene, concetto di rimprovero


per qualche forma antica di viltà


ben conosciuta da chi ne fa esercizio


di bella scrittura, calligrafia del cuore…





… maschere infinite, tutt’attorno al totem


della condiscendenza ben volente, anche


tu lì attorno, chi lo direbbe mai, eppure


sei transitata, con la ‘cartella’, indifferente …





2.





… “vorrei che le ferite che mi hai inferto


in fretta rimarginassero, domani, oggi


ora che te lo sto dicendo…”, così dunque


l’amore muore e cerca attorno vita…





… risponde allora “nulla che ti serva


io sono in grado di fornire, almeno


per quanto riguarda l’oggi…”, resta


in sospeso il domani nella nebbia…





… anni e anni, sono passati anni


sotto i ponti sottili del pensiero


che nell’amore pensa: consumazione


dell’amore, niente più che tedio…





… chissà perché risorge dal sepolcro


proprio nell’ora dell’oggi più lontano


l’immagine crudele, il sorriso vuoto


“lasciami andare, sei buono in fin dei conti…” …





… e andata infine, andata sei nel colmo


della memoria antica, astro inattinto


vertice senza il senso di un’origine


la fine scritta sin dentro la tenerezza…





… vagabondaggi, non più, per carità, soltanto


vagabondaggi, irrisolta la tua meta


disegna sul cartone ultimi orizzonti


per i passi dell’anima inconsapevole…





… dove mai – quale linguaggio: i gesti? –


intendi proporre il tuo sapere


l’albero del bene o male conosciuto


da tempo inaridito per il fulmine?...


.. non dove o quando, ma qui, ora


nessuna domanda più, poco ti resta


da respirare, poche tra queste pagine


sfogliate da mani profumate, donne…





… tu continua, in solitudine, accensione


casuale, un tuo fornello per il thè


alle quattro e mezza, sole in tazzina


tepore, inverno, un po’ prima del buio…





… “che resta?” domandi da una vita


non resta niente perché tutto è eterno


questo tuo chiedere, l’affanno, senso


che latita, tutto, non resta niente…




martedì 19 aprile 2016

Sequenza del sole

 



Un buio totale attanaglia le parole

un buio intriso d’inerzia.

Occorre vangare.


*
La spremitura non avviene

in sede di circospezione

Ma quando sei pronto.


*
Siluri, i miei occhi

pronti a lanciarsi oltre l’abisso.

Il riparo è nella selva che sorvolo.













sabato 16 aprile 2016

Al giardino ancora non l'ho detto, Pia Pera


Sto leggendo questo libro bellissimo e subito provo il desiderio di averlo solo per me, mi ritrovo in certi passi, mi ritrovo nell'incanto del giardino, nel corpo di chi lo abita.
Sento la necessità di sottolineare a matita i passi più belli, e mi riconosco ...

lunedì 11 aprile 2016

Necessità e destinazione. Nota di lettura di Gianmarco Pinciroli


Cara Carla, ogni volta che prendo contatto con una poesia autentica (e la tua lo è) devo constatare, almeno ad una prima immersione, l'inestricabile groviglio dei temi che rendono affascinante, ma non subito compresa sul piano tematico, la lettura che se ne fa; è un'empatia utile al piacere estetico ma non mai sufficiente, se s'intende partecipare con un minimo di razionalità al mondo nuovo e antico che in quei versi ci si squaderna davanti. Ecco dunque che ad una seconda (e terza, eccetera) lettura si comincia finalmente a capire, e diventa allora necessaria un'operazione selettiva rispetto ai temi che s'intende seguire, per poi scriverne. Per non ripetere le giuste osservazioni fatte a suo tempo da Fedeli e Lucini, io mi concentrerò su una direttiva tematica che peraltro mi appartiene da sempre, sulla quale ho scritto i miei libri (che anche tu, in parte, conosci) e della quale restano impregnati i miei tentativi direttamente poetici (anche questi, in parte, conosci). Mi sono chiesto quindi, rileggendo con grande attenzione i tuoi versi, come si configura la tua relazione con la scrittura, e anche: che cos'è scrittura per te? e ancora: a quale scopo scrivi? E' chiaro che la risposta che se ne può dedurre  è interessante soltanto se è perfettamente incarnata nei tuoi versi, altrimenti, se espressa secondo un altro registro scritturale, diventerebbe una nota critica (come lo è nei miei "maestri", ad esempio), ma sarebbe un'altra cosa, molto lucida (e forse l'hai anche fatto altrove) dal punto di vista teoretico, ma del tutto non pertinente rispetto alla santa immediatezza del dettato poetico che mi hai sottoposto.

Sono partito dal titolo della tua terza raccolta, perché il tema dell'"altrove", di cui qui delinei una "geografia", tu l'avevi già annunciato in apertura di "Rapsodia" ('L'altrove è un luogo costruito/nella mente e nello spirito'); il fatto che la "geografia dell'altrove" sia "costruita nella mente e nello spirito" basta da solo a illustrare un progetto profondo di scrittura, in cui si dà conto sia del senso che questo progetto va di volta in volta costruendo (da sempre, l'altrove è il luogo che non c'è, che non c'è ancora, che dovrebbe esserci, è il luogo dell'utopia), sia del tipo di sguardo che intende reperirne le tracce (il termine 'geografia' ben si adatta a descrivere tutto il tuo lavoro, sin dal primo testo di "Aria di lago": qui è una geografia prima di tutto naturale, nel tuo caso rappresentata dai posti meravigliosi in cui vivi, ma è anche una geografia della memoria, dato che subito, nel primo testo della prima raccolta, la mobiliti - 'affiorano i ricordi' - e infinite altre volte la mobiliti nelle altre due raccolte, e infine - e quest'ultima geografia, accennata senz'altro nelle ultime sezioni di "Aria", diventa poi un tema portante, forse il tuo tema per eccellenza, nelle altre due - è una geografia tutta interiore).

A questo proposito mi sono annotato un gran numero di passi in cui ogni elemento di paesaggio che tu mobiliti si profila retoricamente come una metafora o una metonimia del tuo sguardo interiore sulle cose e sulle persone. Sotto questo profilo, anche il semplice tagliare zucchine o stirare camicie, malgrado la loro empiricità elementare, confermano il detto di Eraclito: "Anche qui ci sono gli dèi". Probabilmente, in tutto questo ci potrebbero essere tracce di insegnamenti zen, oppure potrebbe invece essere una tua disposizione naturale a considerare la scrittura come il luogo della verificazione dell'esperienza vissuta (io la vivo da sempre così). Molte volte ho citato l'affermazione di René Char circa l'essere la poesia il pane quotidiano, sia essa poesia scritta o letta, la cosa è indifferente. L'impressione allora che danno i tuoi versi, sia quelli di "Rapsodia" sia quelli di "Geografia", nel loro andamento frammentario, rapsodico appunto, aforismatico in qualche caso, ma tutti strettamente collegati tra loro, è proprio quella di una panificazione necessaria alla dazione di senso quotidiana, al dare senso al dono della vita, affinchè il non-senso (il vuoto) di fondo non prevalga e l'umano diventi la nostra vera realtà.

'Non ho ancora iniziato il libro che desidero leggere/pensavo alla morte, a come potrebbe sorprendermi/alle cose da riordinare, prima che/la sua folata decisiva recida/nuovamente il mio cordone' ("Rapsodia"): ecco quindi l'emersione della dazione di senso: leggere, scrivere, ossia conquistare il cosmos contro il caos, prima che la fine (la morte) ridiventi l'inizio (io chiamo tutto questo da tempo "falso movimento", perchè origine e fine sono un punto solo, e quel punto è l'eterno che ci aspetta); d'altra parte, l'ultimo testo di "Geografia", dedicato a Lucini, conferma questo: 'Ti sei consumato dietro la scrittura dei giorni,/non sapevi che l'eterno/era già dentro di te'. La 'consumazione' di cui parli è al tempo stesso esistenziale e scritturale, è la fatica quotidiana dell'uomo che vive e che scrive, che si trova a dover scrivere, che sceglie di scrivere, e per poterlo fare non deve sapere (razionalmente) che quel punto d'eterno, in cui l'esser nati e il dover morire si assommano in un solo attimo grazie alla geografia esteriore e interiore che rappresentano in toto la sua esperienza di vita, è già custodito e protetto dentro ognuno di noi, e che chi scrive, dunque, non ha - di questo movimento che è ricominciato ogni giorno e che ha colmato nella provvisorietà il vuoto - altro che il compito umano, tutto umano di renderne testimonianza.

Il gioco della scrittura è allora per te, mi sembra di capire, un pendolo che oscilla tra coscienza di una necessità e incoscienza di una destinazione: da un lato 'Scriviamo come uccelli aggrappati/ad un filo a piombo/per esorcizzare la paura' (in "Geografia"): dove s'affaccia quel filo a piombo? forse sul vuoto che è nostro dovere colmare con le giuste parole quotidiane, l'esorcisma è proprio nei confronti della vampirizzante tentazione di lasciarsi andare nell'insignificanza, e la paura di cui parli è una sana reazione a questa sconfitta; dall'altro 'Il mio mondo è qui/lontano dal mondo. [...]/Qui mi può solo toccare/la natura - contaminata- di un Dio' e 'Il foglio è il rifugio necessario/ma mai quanto il paesaggio del mio lago' (ambedue in "Geografia") e anche 'Scrivere è potenza che si stempera/impotente dalle dita/per andare a schiantarsi sul muro/del nostro sentire.' (in "Rapsodia"), ossia: necessità e destinazione, i due volti indistinti eppure diversi di chi scrive, esigono al tempo stesso presa di distanza dal mondo così com'è (la citazione da "Rapsodia" descrive l'ostilità quotidiana rispetto alla parte migliore di noi che con essa fatalmente confligge), e ricerca di un rifugio 'nel' mondo (non 'fuori' dal mondo), nell'incertezza, talvolta delusiva purtroppo, che mai nessuna parola, però, potrà eguagliare la bellezza spontanea che ci offre la natura, essa vista, nella sua gratuita e semplice perfezione, come segno di un mondo così come dovrebbe essere.

Questo è quanto, cara Carla, mi è giunto alla penna del computer di scriverti in merito ai tuoi versi. La loro ricchezza tematica - lo ripeto - va ben oltre queste poche note, ma mi sia lecito, per il momento, lasciare nell'inespresso tutto il molto che rimane consegnato all'enigma del tuo ordine del discorso poetico, e che forse non sempre l'attenzione 'critica' dovrebbe turbare con le sue un po' fastidiose razionalizzazioni.

Mi farai sapere che cosa ne pensi, e grazie ancora per le tue dediche e per l'opportunità che mi hai offerto di partecipare alla tua esperienza poetica.


Un caro saluto
Gianmarco

* * *



Sì, è proprio il mio orecchio, l'orecchio interiore
quello che sente
e che deve imparare ad ascoltare.

Necessità e destinazione
sinonimi di una scrittura completa.
La ricerca che ogni poeta vorrebbe vedere tradotta sul foglio semplicemente ascoltando
la natura e il suo manifestarsi.

Cos'è la scrittura per me?
Come si configura la mia relazione con la scrittura?
A quale scopo scrivo?

Il bello della scrittura è che non sempre è razionale, a volte capita che l'impulso combaci con l'intuizione. Nasce così l'illuminazione.
Mai nessuna parola potrà eguagliare la bellezza spontanea che ci offre la natura - rifugio nel mondo -
È questa la certezza che in questi giorni mi abita
sapere che tutto è già stato scritto nel grande libro degli eventi. Il tentativo di riscriverlo.

All'inizio scrivevo per dare voce al mio sentire, avevo bisogno di conoscere la mia identità per proteggere la mia timidezza, poi ho scritto perché la lettura , le varie letture di filosofia ma anche di poesia, mi hanno portato a scoprire correlazioni tra pensiero filosofico e realtà, tra esperienza personale e contatto con l'umano.

La curiosità mi ha spinto alla sperimentazione, alla selezione
Così in ogni poesia ora ricerco l'essenziale, a volte la sentenza, a volte la constatazione
che ogni concetto merita attenzione quando viene nominato.

Lo scopo è mantenere viva la mente, non dimenticare le piccole cose, il vissuto personale e il paesaggio in cui si compie il gesto dove la parola diventa interruttore  che procura la luce.

Lo scopo è arrivare al cuore delle persone emozionandole, facendole riflettere, aprendo i loro occhi sulla vita (che è l'interiore).

Catturare i segreti della natura che abita il mondo sotterraneo e portarli alla luce, questo mi affascina e mi fa vivere in armonia.

E questa è per te, che mi hai dedicato il tuo tempo, il mio grazie ...:-)



L'orecchio conduce
oltre la soglia del suono
che da luce al buio
e lo protegge
e non conosce la condizione del tempo
ma la assapora.

Mi nutrirei di solo vino
e destinazione.

martedì 5 aprile 2016

Campo di energia


Il pensiero è la forza più sottile e penetrante di tutto l’universo.
Pensando, noi emettiamo potenti campi magnetici in grado di impregnare e influenzare
ciò che ci sta attorno.
Per questo motivo sentiamo l’umore delle persone che frequentiamo e ne veniamo condizionati.
Per questo motivo generiamo energia libera e alla massima potenza.

venerdì 1 aprile 2016

Balaustra sul lago






Ho ricevuto il piego di libri oggi, e sono proprio contenta del risultato.

La mia terza creatura è venuta alla luce, inaspettata per certi versi, per altri prepotente
il desiderio - e il bisogno - si è tramutato in sostanza, ha preso una forma
e l'ha riempita.

Solo questo conta per me, un silenzio che riempie l'aria di profumi, di paesaggi, di lago e di sensazioni...questo intendo per poesia, e sento che questo amore lo posso condividere non solo con i poeti, soprattutto con le persone.

Ancora non lo sa nessuno dei miei familiari, io non esterno i miei progetti prima del loro compimento, mi piace assaporare i momenti di gioia, pensare di poterli abbracciare con questo dono che è sorpresa e meraviglia, che è la parte più intima di me.

Anche l'anima ha un volto, un volto che trasfigura nella bellezza....
che trasfigura in vena pulsante, in Flèva Kumbì.




*